Roma, 02-12-2011
In Italia i giovani sono al centro della crisi: la difficile situazione economica si è abbattuta come una scure sugli under 35. In 4 anni il numero degli occupati è diminuito di 980.000 unità e nel 2010 quasi un giovane su quattro tra i 15 e i 29 anni non studia ne' lavora, consegnando cosi' al Belpaese un triste primato a livello europeo.
Lo rivela il 45esimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. Inoltre molto alta, rispetto alla medie Ue e' la quota degli scoraggiati: l'11,2% tra i 15 e 24 anni, e addirittura il 16,7% di quelli tra i 25 e 29, non e' interessato ne' a lavorare ne' a studiare, mentre la media europea e' pari rispettivamente al 3,4% e all'8,5%.
Dunque il futuro della ripresa occupazionale resta incerto e mentre il mercato e' sempre piu' incapace di garantire sbocchi professionali, i mestieri manuali sembrano non conoscere crisi. Nel mercato del lavoro i più colpiti sono stati i giovani, per quanto vittime loro malgrado di un calo demografico senza precedenti. Tra il 2007 e il 2010 il numero degli occupati e' diminuito di 980.000 unita', e tra i soli italiani le perdite sono state oltre 1.160.000. Poco meglio e' andata alla generazione immediatamente precedente. Anche tra i 35-44enni la crisi ha mietuto vittime, con un impatto decisamente piu' contenuto: 100.00 posti di lavoro in meno, per un calo dell'1,4%.
Di contro, nelle generazioni piu' mature i livelli occupazionali non solo sono stati salvaguardati, ma sono addirittura aumentati: +7,2% l'occupazione tra i 45-54enni e +12,9% tra i 55-64enni. La quota dei giovani cosiddetti 'Neet', sottolinea il Censi, ha ripreso a crescere con l'inizio della crisi economica, attestandosi nel 2010 al 22,1% rispetto al 20,5% dell'anno precedente.
Tra il 2007 e il 2010 e' aumentata l'occupazione straniera (quasi 580.000 lavoratori in piu', di cui circa 200.000 nell'ultimo anno, con un incremento complessivo del 38,5%), mentre quella italiana ha registrato la perdita di 928.000 posti di lavoro (-4,3%), di cui 335.000 nell'ultimo anno. La frenata della crisi nel 2010 (bruciati 153.000 posti di lavoro, contro i 380.000 del 2009) e i dati positivi per il 2011 (+0,4% gli occupati nel primo semestre) fanno sperare in una chiusura d'anno con segno positivo. Viene meno la capacita' di tenuta dell'occupazione a tempo indeterminato. Dopo due anni di tendenziale stabilita', si riduce dell'1,3% nel 2010 e dello 0,1% nel primo semestre del 2011. Si segnala pero' una crescita significativa del lavoro a termine (+1,4% nel 2010 e +5,5% nei primi sei mesi del 2011) e del lavoro autonomo (dopo cinque anni di contrazione, nel 2010 c'e' una prima tiepida crescita: +0,2%).
L'Italia è un paese "in sospensione", in cui la forza della famiglia sta cedendo e il risparmio è in pericolo "Il modello italiano della famiglia polifunzionale - spiega il centro studi - inizia a mostrare segni di debolezza, con riferimento alla patrimonializzazione e alla solidarietà intergenerazionale. È vero che all'82% di famiglie italiane proprietarie della loro abitazione corrispondono percentuali molto più basse negli altri Paesi europei, mentre l'attivo finanziario delle famiglie, al netto dei debiti, ammonta al 175% del Pil, quota maggiore che in Francia (131,5%), Germania (125,2%) e Spagna (77,5%)". Ma in valore assoluto "c'è stata un'erosione significativa di questo patrimonio, passato dai 3.042 miliardi di euro del 2006 a 2.722 miliardi (-10,5% in valori correnti, -16,3% in valori reali). Se all'inizio degli anni 80 il reddito da lavoro, soprattutto dipendente, era il 70% del reddito familiare complessivo, nel 2010 questa quota si è ridotta fino al 53,6%".
L'Italia "è fragile, forse per la prima volta da decenni, con una crisi che viene dall'esterno, cioe' dal non governo della finanza globalizzata; ma si esprime anche sul piano interno un sentimento di stanchezza collettiva, di non reazione alla fenomenologia domestica della crisi (la caduta dell'occupazione e dei consumi), di inerte fatalismo rispetto alla insolubilita' del problema del debito pubblico".
Lo rivela il 45esimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. Inoltre molto alta, rispetto alla medie Ue e' la quota degli scoraggiati: l'11,2% tra i 15 e 24 anni, e addirittura il 16,7% di quelli tra i 25 e 29, non e' interessato ne' a lavorare ne' a studiare, mentre la media europea e' pari rispettivamente al 3,4% e all'8,5%.
Dunque il futuro della ripresa occupazionale resta incerto e mentre il mercato e' sempre piu' incapace di garantire sbocchi professionali, i mestieri manuali sembrano non conoscere crisi. Nel mercato del lavoro i più colpiti sono stati i giovani, per quanto vittime loro malgrado di un calo demografico senza precedenti. Tra il 2007 e il 2010 il numero degli occupati e' diminuito di 980.000 unita', e tra i soli italiani le perdite sono state oltre 1.160.000. Poco meglio e' andata alla generazione immediatamente precedente. Anche tra i 35-44enni la crisi ha mietuto vittime, con un impatto decisamente piu' contenuto: 100.00 posti di lavoro in meno, per un calo dell'1,4%.
Di contro, nelle generazioni piu' mature i livelli occupazionali non solo sono stati salvaguardati, ma sono addirittura aumentati: +7,2% l'occupazione tra i 45-54enni e +12,9% tra i 55-64enni. La quota dei giovani cosiddetti 'Neet', sottolinea il Censi, ha ripreso a crescere con l'inizio della crisi economica, attestandosi nel 2010 al 22,1% rispetto al 20,5% dell'anno precedente.
Tra il 2007 e il 2010 e' aumentata l'occupazione straniera (quasi 580.000 lavoratori in piu', di cui circa 200.000 nell'ultimo anno, con un incremento complessivo del 38,5%), mentre quella italiana ha registrato la perdita di 928.000 posti di lavoro (-4,3%), di cui 335.000 nell'ultimo anno. La frenata della crisi nel 2010 (bruciati 153.000 posti di lavoro, contro i 380.000 del 2009) e i dati positivi per il 2011 (+0,4% gli occupati nel primo semestre) fanno sperare in una chiusura d'anno con segno positivo. Viene meno la capacita' di tenuta dell'occupazione a tempo indeterminato. Dopo due anni di tendenziale stabilita', si riduce dell'1,3% nel 2010 e dello 0,1% nel primo semestre del 2011. Si segnala pero' una crescita significativa del lavoro a termine (+1,4% nel 2010 e +5,5% nei primi sei mesi del 2011) e del lavoro autonomo (dopo cinque anni di contrazione, nel 2010 c'e' una prima tiepida crescita: +0,2%).
L'Italia è un paese "in sospensione", in cui la forza della famiglia sta cedendo e il risparmio è in pericolo "Il modello italiano della famiglia polifunzionale - spiega il centro studi - inizia a mostrare segni di debolezza, con riferimento alla patrimonializzazione e alla solidarietà intergenerazionale. È vero che all'82% di famiglie italiane proprietarie della loro abitazione corrispondono percentuali molto più basse negli altri Paesi europei, mentre l'attivo finanziario delle famiglie, al netto dei debiti, ammonta al 175% del Pil, quota maggiore che in Francia (131,5%), Germania (125,2%) e Spagna (77,5%)". Ma in valore assoluto "c'è stata un'erosione significativa di questo patrimonio, passato dai 3.042 miliardi di euro del 2006 a 2.722 miliardi (-10,5% in valori correnti, -16,3% in valori reali). Se all'inizio degli anni 80 il reddito da lavoro, soprattutto dipendente, era il 70% del reddito familiare complessivo, nel 2010 questa quota si è ridotta fino al 53,6%".
L'Italia "è fragile, forse per la prima volta da decenni, con una crisi che viene dall'esterno, cioe' dal non governo della finanza globalizzata; ma si esprime anche sul piano interno un sentimento di stanchezza collettiva, di non reazione alla fenomenologia domestica della crisi (la caduta dell'occupazione e dei consumi), di inerte fatalismo rispetto alla insolubilita' del problema del debito pubblico".
Il sistema "si ritrova inaspettatamente fragile: annaspando sulla difesa dei meccanismi che supportavano la good reputation, e ancor piu' annaspando sulle decisioni che dovrebbero e potrebbero rilanciare lo sviluppo".
"In questo complessivo affanno, non ci aiuta l'isolamento - scrive il Censis - Una societa' che aveva realizzato la sua ricostruzione post-bellica, il suo boom economico, la sua industrializzazione (di massa come di qualita') nell'alveo di una riconquistata appartenenza occidentale, di un primigenio protagonismo europeista e di una presenza planetaria del suo made in Italy, sembra oggi fuori dai grandi processi internazionali; al massimo, li rincorre faticosamente".
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