Michele Padovano è stato condannato a otto anni e otto mesi di carcere per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio. Per l'ex attaccante juventino la pubblica accusa del Tribunale di Torino aveva chiesto la condanna a 24 anni di reclusione. Al suo sodale e amico d'infanzia Luca Mosole invece sono stati inflitti 15 anni. La reazione di Padovano è comprensibilmente incentrata su un sentimento di delusione, misto alla volontà di ribaltare il verdetto in sede d'Apello: "La sentenza che mi ha condannato è clamorosamente ingiusta, ma battaglierò fino alla fine per dimostrare che non c'entro": queste le parole dell'ex calciatore a Repubblica.it. "Andremo sicuramente in appello - ha aggiunto - perché, anche se mi avessero dato solo sei mesi, non sarei stato contento. I giudici hanno esagerato".
Padovano ha giocato (e segnato molti gol) in varie squadre: Cosenza, Pisa, Napoli, Genoa, Reggiana, Juventus, Crystal Palace (Inghilterra) e Metz (Francia). Vanta anche una presenza in Nazionale. Ha avuto anche brevi esperienze come dirigente calcistico, tra cui una nella storica società della Pro Patria.
LA VICENDA - Come già detto nel processo che è arrivato alla sentenza di primo grado a Torino, l'ex calciatore di Juventus e Reggiana e l'amico Luca Mosole sono imputati per associazione per delinquere e traffico di stupefacenti. Alla luce delle richieste dell'accusa, formulata dal pubblico ministero Antonio Rinaudo (24 anni), la sentenza è stata tutto sommato piuttosto clemente. L'inchiesta ha preso le mosse sulla base di intercettazioni telefoniche, ovviamente suffragate da ulteriori elementi probatori.
L'amicizia con un piccolo trafficante di droga e le intercettazioni di conversazioni ambigue e suggestive sono state per Padovano, alla Juve dal 1995 al '97 con un curriculm da 42 gol, all'origine di tutto questo. Arrestato il 10 maggio 2006 e rimasto in carcere e poi ai domiciliari sino al febbraio successivo in una indagine scaturita in una inchiesta che disegnò un traffico internazionale di hashish tra Marocco, Spagna e Italia e che, in una fase embrionale, coinvolse anche Gianluca Vialli e Nicola Caricola, scagionati completamente da alcun coinvolgimento. Il pubblico ministero considerava l'ex calciatore tra i finanziatori della banda che comprendeva decine di persone, quasi tutte già condannate in un precedente processo che si è concluso con rito abbreviato. Due sono gli episodi, documentati da intercettazioni telefoniche e pedinamenti, in cui l'ex calciatore avrebbe ceduto circa 100 mila euro all'amico d'infanzia Mosole (i due risiedono entrambi nel Torinese), ritenuto il capo dell'organizzazione criminale. Da qui la richiesta dell'accusa, accolta parzialmente come verità processuale.
Padovano ha giocato (e segnato molti gol) in varie squadre: Cosenza, Pisa, Napoli, Genoa, Reggiana, Juventus, Crystal Palace (Inghilterra) e Metz (Francia). Vanta anche una presenza in Nazionale. Ha avuto anche brevi esperienze come dirigente calcistico, tra cui una nella storica società della Pro Patria.
LA VICENDA - Come già detto nel processo che è arrivato alla sentenza di primo grado a Torino, l'ex calciatore di Juventus e Reggiana e l'amico Luca Mosole sono imputati per associazione per delinquere e traffico di stupefacenti. Alla luce delle richieste dell'accusa, formulata dal pubblico ministero Antonio Rinaudo (24 anni), la sentenza è stata tutto sommato piuttosto clemente. L'inchiesta ha preso le mosse sulla base di intercettazioni telefoniche, ovviamente suffragate da ulteriori elementi probatori.
L'amicizia con un piccolo trafficante di droga e le intercettazioni di conversazioni ambigue e suggestive sono state per Padovano, alla Juve dal 1995 al '97 con un curriculm da 42 gol, all'origine di tutto questo. Arrestato il 10 maggio 2006 e rimasto in carcere e poi ai domiciliari sino al febbraio successivo in una indagine scaturita in una inchiesta che disegnò un traffico internazionale di hashish tra Marocco, Spagna e Italia e che, in una fase embrionale, coinvolse anche Gianluca Vialli e Nicola Caricola, scagionati completamente da alcun coinvolgimento. Il pubblico ministero considerava l'ex calciatore tra i finanziatori della banda che comprendeva decine di persone, quasi tutte già condannate in un precedente processo che si è concluso con rito abbreviato. Due sono gli episodi, documentati da intercettazioni telefoniche e pedinamenti, in cui l'ex calciatore avrebbe ceduto circa 100 mila euro all'amico d'infanzia Mosole (i due risiedono entrambi nel Torinese), ritenuto il capo dell'organizzazione criminale. Da qui la richiesta dell'accusa, accolta parzialmente come verità processuale.
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